Lodati – Il volto gentile dell’avanguardia

Claudio Lodati – Il Volto Gentile Dell’Avanguardia

Intervista di Stefano Galvani del mensile Guitar Club – Marzo 2000

Operando nell’ambiente della musica improvvisata, Claudio Lodati ama far convivere nel suo playing generi musicali e tecniche differenti, sperimentare, ricercare sonorità insolite. Esordisce nei primi anni ’70 con l’Art Studio, formazione di cui è co-fondatore assieme al sassofonista Carlo Actis Dato, il contrabbassista Enrico fazio, il batterista Fiorenzo Sordini. La musica del quartetto torinese è caratterizzata da un interessante intreccio d’improvvisazione jazzistica, rumorismo, folclore, free music, rock progressive e con loro Lodati incide sette album, alcuni dei quali con la partecipazione delle cantanti Irene Robbins e Tiziana Ghiglioni.

L’esperienza accanto a voci femminili costituisce un aspetto rilevante nella ricerca del chitarrista e rilevanti sono infatti le collaborazioni con la cantante americana Ellen Christi (“Dreamers”, Splasch 1990 e “Vocal Desires”, CMC 1996) e quella con la cantante napoletana Maria Pia De Vito ospite nel CD “Corsari”, Splasch.

Anche le esperienze accanto ad altri chitarristi hanno per il musicista torinese grande rilevanza, vedi ad esempio il sodalizio con Maurizio Brunod nella band Dac’Corda (con Fazio e Sordini) e con il duo di chitarre di “Appesi Al Filo” , CMC 1994. Oltre alla collaborazione con lo svizzero Luigi Archetti che ha fruttato l’incisione del blasonato “Aliens Talk”, Sargasso 1998 (ancora con Ellen Christi).

Alla luce di tutto ciò, si mette in evidenza la recente produzione discografica dello stesso Lodati (“Blue Gulf Stream”), realizzata con l’apporto di Brunod e della cantanta francese Pascale Charreton, considerata come la sintesi più matura della sue precedenti esperienze.
In questo album, accanto alla ripriposizione di canzoni appartenenti alla tradizione ebraica, iraniana, mongola, il chitarrista propone alcuni temi che rivelano pure una scrittura rigorosa ed essenziale, in grado di mantenere profondi legami con la nostra tradizione melodica pur prevedendo un adeguato spazio per l’improvvisazione e la dimensione più sperimentale.

Cominciamo con la tua collaborazione con Maurizio Brunod e Pascale Charreton?
Questo progetto non è poi così nuovo, nel senso che è il seguito ideale di una lunga collaborazione con Maurizio, dalla quale scaturì il CD “Appesi Al Filo” -CMC rec.-. Un disco di sole chitarre dove sono presenti le contaminazioni più disparate (temi etnici, canzoni popolari, standards jazzistici, ma anche i Doors e Bartok) accanto ad originals di mia composizione. Ad un certo punto abbiamo sentito l’esigenza di ampliare le possibilità espressive e di aggiungere una voce trovando in Pascale (nativa di Lione) la partner ideale per proseguire in questa direzione. La sua è una vocalità di estrazione non jazzistica con connotati fortemente popolari e teatrali (è anche attrice) che si possono ascoltare nel recente “Blue Gulf Stream” -Splasc(h) rec.- dove interpreta brani in lingue diverse tra cui l’iraniano, l’ebraico, il mongolo… Dal Duo al Trio senza fratture ma con una naturale continuità.

Come avete concepito le parti delle chitarre (illustrami la scelta delle sonorità)?
Maurizio si è occupato maggiormente delle parti ritmiche e di fornire tappeti sonori con l’ausilio di loops, ecc. utilizzando più chitarre. Io, al contrario, una sola chitarra semiacustica, suoni nitidi “jazzistici”, ma anche un uso moderato di elettronica e rumoristica.

Nei tuoi lavori è spesso presente la voce femminile. Quale peso ha la vocalità nel tuo modo di fare musica?
Importantissima, adoro ascoltare la voce insieme al suono della mia chitarra. Iniziato molti anni fa con la cantante-pianista di Detroit Irene Robbins (presente in diversi lavori dell’ART STUDIO) attraverso collaborazioni con Tiziana Ghiglioni (ancora ART STUDIO), Tiziana Simona, Maria Pia De Vito (Dac’Corda “Corsari”-Splasc(h)) e soprattutto Ellen Christi con la quale ho inciso tre CD e suonato più volte in Europa e USA, fino alla più recente Pascale Charreton di cui abbiamo parlato prima. La voce per me è un grande stimolo sia nel momento compositivo sia in quello dell’improvvisazione.

Un altro importante connubio è quello realizzato con altri chitarristi… Hai inoltre lavorato con diversi chitarristi…
Si, è come essere davanti ad uno specchio deformato, molto interessante, in cui rimbalzare, guardarsi, guardare… Dalle collaborazioni estemporanee con Fred Frith, Heins Reichel (teatro Lirico Milano 1979)!! E alla più recente con Franco Cerri, Augusto Mancinelli e Lanfranco Malaguti durante il “Guitar Summit” a Tortona 1997 alle collaborazioni stabili (Brunod) e quella con il bravissimo quanto ancora sconosciuto in Italia Luigi Archetti (vive a Zurigo ma è di origine italiana) nel gruppo ” Aliens Talk ” con Ellen Christi e il bassista svizzero Jan Schlegel con i quali ho fatto tre tours in USA e Canada e registrato a New York un CD uscito per la label londinese Sargasso.

La tua musica si colloca nell’ambito della cosidetta avanguardia bisogna però dire…
Mi fa molto piacere che tu percepisca l’aspetto comunicativo nella mia musica perché sono convinto che la comunicazione, il fatto di trasmettere emozioni al pubblico sia fondamentale per qualunque tipo di musica e decisamente più importante della sterile suddivisione in stili. O trasmetti o non trasmetti… Per quanto riguarda l’aspetto melodico, credo proprio di averlo dentro come patrimonio della cultura operistica popolare italiana (Puccini in particolare) e sono istintivamente portato a privilegiarlo quando scrivo : è simpatico poter canticchiare un tema!

Un’esperienza molto importante per te è stata quella con l’ART STUDIO, vuoi fare un po’ la storia di questo gruppo?
Questa è una lunga storia che inizia nel 1974 anno di nascita dell’ ART STUDIO, Insieme ad Enrico Fazio, Fiorenzo Sordini e Carlo Actis Dato. Spinti da un’esigenza comune ed eccitati e stimolati da musicisti come Lacy, Braxton, Coleman, Art Ensemble Of Chicago, ecc. piano piano, lavorando assiduamente, abbiamo ricercato e poi trovato un nostro “suono” originale e riconoscibile e un linguaggio sempre a cavallo tra scrittura ed improvvisazione. Molto importante è stato l’inserimento dal 1981 al 1986 della cantante e pianista americana Irene Robbins (presente in tre dischi) che ha permesso di ampliare ulteriormente la tavolozza di suoni e di idee. Dopo di lei altre cantanti hanno collaborato con l’Art Studio ( Tiziana Ghiglioni -cd “Onde”- Splasc(h) , Tiziana Simona ed Ellen Christi ).
L’Art Studio ha suonato in tutta Europa e inciso sette dischi, compreso il recente “Off Limits”-Splasc(h)- che suggella il ritorno di questo gruppo dopo circa dieci anni di assenza. L’Art Studio è stato per me un laboratorio dove cercare, sperimentare, costruire, distruggere, ricostruire, una palestra importantissima.

Alcuni tuoi dischi sono stati prodotti dalla CMC…
La CMC records è una filiazione del Centro Musica Creativa, Cooperativa culturale di musicisti fondata a Torino nel 1977 dai soliti quattro dell’Art Studio più altri musicisti ed operatori musicali con lo scopo di promuovere il jazz contemporaneo e la musica di ricerca attraverso attività concertistiche, didattiche ed editoriali. L’etichetta, tuttora attiva, è un po’ il fiore all’occhiello della CMC, distinguendosi per il rigore delle scelte e per l’attenzione rivolta a musicisti che lavorano in zone musicali “di confine”.

Quali problemi incontra, a tuo parere oggi un musicista che lavora nell’ambito della sperimentazione?
Non parlerei tanto di sperimentazione quanto di ricerca di una propria strada attraverso un cammino in parte solitario e in parte condiviso e stimolato da altri musicisti con i quali ho suonato e suono. Penso che un certo tipo di musica non sia facilmente etichettabile e quindi meno facile da gestire, creando quei problemi che tutti conoscono, cioè di diffusione, reperibilità, vendita.

Veniamo alla tua strumentazione, quali chitarre utilizzi? Che genere di effetti usi…
Premetto che sono da sempre un Gibsoniano anche se attualmente mi stò interessando alle sonorità Fender… Comunque uso prevalentemente una vecchia Gibson semiacustica ES 150, che oltre a darmi dei bei suoni corposi e caldi, sopporta benissimo anche un uso più violento, compreso il distorsore senza dare grossi problemi di feed back e un’altra Gibson L6s del 1972 solid body. Per quanto riguarda gli effetti sono molto sobrio: un Nanoverb dell’Alesis, due pedali delay DOD e Boss, distorsore, pedale del volume Boss (che non è un effetto), un EBOW, clips da applicare alle corde… e altri che cambio di volta in volta, il tutto in una valigetta che mi permette di viaggiare comodamente… Mi piace avere un rapporto diretto, viscerale con lo strumento, poter controllare tutto in diretta, senza memorie: effetti digitali ma controlli analogici! Da un po’ di anni uso plettri Manny’s heavy comprati nell’omonimo famoso negozio di New York. Come amplificatori prediligo i Polytone per il loro suono corposo e flat.

Quali chitarristi pensi ti abbiano maggiormente influenzato?
Sinceramente, soprattutto in passato, ho ascoltato di più saxofonisti e trombettisti, forse per questo il mio stile è prevalentemente melodico, a single notes, ma comunque ho da sempre amato Jimi Hendrix, (anche come compositore) i grandi del jazz da C. Christian a J. Hall a Tal Farlow, ecc. Tra i contemporanei mi piace molto Bill Frisell (soprattutto i primi lavori in quartetto) il francese Marc Ducret, Michael G. Jackson (chitarrista di Oliver Lake in un disco stupendo: “Holding Together”) ma anche Derek Bailey,il norvegese Terje Rypdal, Pat Metheny in alcuni dischi ( Song X con Ornette Coleman) e poi, come dimenticare il compianto Sonny Sharrock, primo chitarrista free…
Sono molti i musicisti e vari tipi di musica che ascolto volentieri, ma io credo che poi ognuno debba ricercare un proprio stile riconoscibile e che l’ispirazione provenga spesso da cose, situazioni, odori che non sono direttamente riconducibili alla musica ma che invece la nutrono di linfa vitale: insomma, per suonare e creare bisogna vivere! Anche i musicisti con cui ho suonato e suono mi influenzano, mi stimolano e credo ci sia sempre da imparare anche da quello più sconosciuto che incontri per caso in un club o per le strade del mondo.